BLOG RETRÓ VANITY FAIR. Luca Fiorini racconta la censura cartoon

Ricordo che durante i primi anni della scuola media avevo un’amica appassionata di cartoni animati giapponesi, che sapeva  riprodurre perfettamente tutti i personaggi con matite, e penne colorate, e seguiva le loro avventure anche sui fumetti. Quando ci riunivamo qualche pomeriggio a casa sua e sfogliavamo i suoi fumetti di Sailor Moon e City Hunter, scoprivamo scene che nei cartoni non esistevano proprio: nudi, baci appassionati, erezioni e palpatine, a volte talmente accentuati da risultare ridicoli e quindi molto divertenti. Quando qualche sera fa ho letto Luca Fiorini che, nel Blog Retrò di vanityfair.it, scriveva della censura italiana sui cartoni animati giapponesi degli anni ‘80 e ‘90, mi è venuto da sorridere. Tante volte mi è capitato di parlare con i miei amici delle stranezze e delle incongruenze di alcune storie che hanno accompagnato noi nati negli anni ‘80 per i primi dieci, dodici anni della nostra vita. Lamù e Fujiko (alla quale hanno censurato anche il nome, chiamandola Margot dalla seconda serie in poi di Lupin III) sono state le  protagoniste indiscusse delle prime fantasie sessuali di tutti i trentenni italiani. Nella cultura occidentale da pochissimi anni si è iniziato a concepire il genere ‘cartone animato’ anche per un pubblico più adulto. Basti pensare al successo degli ultimi prodotti della Disney Pixar; per vedere la prima del film “Cattivissimo Me 2” in 3D ho dovuto prenotare i biglietti via internet per l’ultimo spettacolo, la sala era piena e non c’era neanche un bambino. In Giappone, invece, sia gli anime (termine utilizzato per indicare i cartoni animati giapponesi) che i manga (sin dal lontano 1600 con gli edo), nascono come forma di intrattenimento libera e rivolta a target diversi, non solo ed unicamente ai bambini, come siamo abituati a pensare noi occidentali. Non stupisce dunque vedere una scena di nudo, o un bacio omosessuale sulle pagine di un fumetto, oppure nella puntata di un cartone animato. Senza trascendere in discorsi legati alla libera opinione di ciascuno di noi e che meriterebbero molto più spazio, credo sia comprensibile, ed è ormai diventata una consuetudine nel mercato dell’intrattenimento, che un prodotto acquistato in un contesto diverso venga poi adattato alla cultura del Paese in cui deve essere fruito. Come si dice: “Paese che vai…” .

Federica Di Maio

Federica Di Maio
Fortunatamente, secondo la moderna astronomia, l'universo è finito: un pensiero consolante per chi, come me, non si ricorda mai dove ha lasciato le cose. (Woody Allen).

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