BOB GELDOF, PASSIONI E TRAGEDIE DEL ROCK. L’invenzione del Live AID e i lutti della moglie Paula e della figlia Peaches nella vita del musicista che inventò il rock solidale
È una (in)usuale storia di (luoghi comuni del) rock, impegno civile e donne, quella di Sir Robert Frederick Zenon Geldof, meglio noto come Bob Geldof. Irlandese, sessantatre anni, Geldof si trova coinvolto come cantante, nel 1975, col gruppo Boomtown Rats, inizialmente associato al movimento punk (benché il nome della band derivasse da uno spunto contenuto nella biografia del cantautore-monumento folk americano Woody Guthrie, modello, tra gli altri, di Bob Dylan). La band pubblica cinque album a segnare una curva di successo piuttosto breve, che però farà benissimo alle carriere soliste dei singoli membri: è, ad esempio, tra la pubblicazione del quarto album del gruppo (Mondo Bongo del 1981) e quella del quinto (V Deep del 1981, ma il successo era già arrivato col terzo The Fine Art of Surfacing, e col singolo “I don’t like Mondays”) che Bob Geldof viene chiamato a recitare la parte del protagonista in “The Wall”, il lungometraggio che mise in immagini la storia contenuta nell’omonimo concept album-capolavoro dei Pink Floyd e che consacrò lo stesso Geldof a icona della narrazione rock.
E poi le donne, dicevamo: prima di tutto l’incontro, nel 1976, con la gallese Paula Yates, nudo in copertina per Penthouse e poi la scrittura e il giornalismo rock, col programma di musica indipendente The Tube e le interviste a letto con le rock star in The Big Breakfast (entrambe le trasmissioni per il canale televisivo britannico Channel 4), già prodotto da Geldof, che nel frattempo recupera la primigenia vocazione di organizzatore ed imprenditore (anche i Boomtown Rats lo convocarono, inizialmente, in qualità di manager, per poi decidere di tenerlo come cantante). Paula e Geldof non si lasciano più, ma si sposano soltanto nel 1986 (testimone di lui Simone Le Bon); nel frattempo cominciano ad arrivare le altre donne di casa Geldof, le tre figlie della coppia: la primogenita Fifi Trixibelle e la sfortunata Peaches, e infine Pixie. Nel frattempo sorge in Bob la vocazione musical-civile che lo porta gradualmente a trascurare del tutto la sua personale carriera: nel 1984 scrive, assieme a Midge Ure, “Do They Know It’s Christmas?”, cantata poi dal supergruppo di star britanniche chiamato Band Aid, incassi del singolone devoluti al 100% alla fame in Africa. Il modello, più o meno consapevolmente varato da Sir Geldof, sbarca dall’altra parte dell’oceano, e da vita all’esperienza di USA for Africa. Siamo nel 1985 e Michael Jackson, Lionel Richie, Stevie Wonder e Bruce Springsteen cantano We Are the World, prodotta da Quincy Jones, e devolvono lo stellare incasso alle popolazione dell’Etiopia, afflitta in quel periodo da una disastrosa carestia. Tuttavia le generose star non mancano di conseguire, con l’epocale brano, il Grammy Award come “canzone dell’anno”, e poi “disco dell’anno” e “miglior performance di un duo o gruppo vocale pop”. Nel cuore degli anni ottanta degli yuppies e del trionfo dell’inessenziale (ma pure di eroina e AIDS), il music business occidentale scopre il (catartico) bisogno d’impegno, ma pure l’incredibile ritorno d’immagine garantito dal marketing equo e solidale. Sotto la spinta americana, Geldof definisce l’idea del Live Aid, il duplice concertone rigorosamente trasmesso in mondovisione: prima edizione fissata per il 13 luglio 1985, due diverse location, quella britannica rintracciata nello stadio di Wembley a Londra e quella americana, lo stadio JFK di Filadelfia.
Tuttavia, dietro questo scenario di assoluto successo, gli appetiti e gli spleen del rock ordiscono tragedie: Paula si incaponisce su un altro ( e che altro!), quel Michael Hutchence, cantante degli INXS, che la donna comincia a seguire per concerti (portando spesso con se anche la primogenita di Geldof) dal 1985, anno dell’intervista col cantante per The Tube. Per Hutchence Paula lascia Geldof, nel 1995, e ottiene il divorzio da Sir Bob nel 1996, anno della nascita della primogenita della nuova coppia, Heavenly Hiraani Tiger Lily. Nel frattempo, Sir Bob ingaggia con l’ex moglie una guerra legale per l’affidamento delle loro bambine, ed una psicologica contro la donna ed il nuovo compagno: Michael Hutchence venne trovato morto in una stanza d’albergo a Sidney nel 1997, a causa di una strana pratica sessuale che ne determinò lo strozzamento si scrisse all’epoca, mentre il coroner si pronunciò a favore dell’ipotesi di suicidio. Sconvolta, la Yates ebbe a dichiarare che Geldof non smise di minacciare lei e il suo nuovo uomo a suon di uscite quali “Io non dimentico. Sono al di sopra della legge”. Alla fine Sir Bob ottiene l’affidamento delle figlie, mentre Paula tenta di togliersi la vita, poi di redimersi dal folle gesto, soprattutto per non vedersi tolta pure la custodia della bimba avuta con Michael Hutchence; e si trova per giunta a scoprire, proprio in quel periodo, di non essere la figlia naturale di suo padre, perché i colpi di scena non vengono mai da soli. Paula Yates muore per un’overdose di eroina nel 2000, nel giorno del compleanno della terzogenita Geldof, Pixie. Geldof estende la sua richiesta d’affido alla bimba Hutchence e la ottiene, affiancando il suo cognome a quello del cantante scomparso. Cinque anni dopo, Sir Bob abbraccia nuovamente la sfida del rock solidale e si inventa il Live 8, una serie di 10 concerti, organizzati per il luglio di quell’anno, nelle nazioni appartenenti al G8. Nello stesso anno ha difeso l’operato in Africa del Presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush definendolo “migliore di quello di ogni altro presidente statunitense”. Tuttavia, forse scopriamo solo adesso quanto il segno di quella mamma prima indomabile e poi devastata, e quello della guerra col padre abbandonato e imperioso, siano perdurati nelle figlie di Geldof: la giovane Peaches, venticinque anni e due bimbi col cantante Tom Cohen, sposato in seconde nozze, è stata trovata morta poco più di una settimana fa nella sua casa nel Kent. Della maternità Peaches, che era quotatissima “columnist” (adolescente, teneva già collaborazioni giornalistiche costanti con The Daily Telegraph e The Guardian) aveva dichiarato, in un contributo scritto per la rivista “Mother and Body”, che gli aveva riempito la vita, strappandola ad un divertimento insensato da “it girl”, condotto da un capo all’altro dell’Oceano. Ma, a soffermarsi su una delle tante gallery fotografiche che ritraggono la giovane giornalista e modella, salta subito all’occhio il dato dell’ottovolante sul quale Peaches giocava col suo peso corporeo: tra le ipotesi di cause di morte della giovane, infatti, ci sarebbe quella, formulata dal Daily Mail (ma il coroner chiarisce che potrebbero volerci settimane per avere la verità) di un arresto cardiaco provocato da una dieta di soli liquidi, alla quale Peaches non era nuova e che, condotta per un mese, le permetteva di perdere fino a 5 chili. Tuttavia, nella vita della giovane Geldof, bella e bionda come la mamma Paula, era passata, proprio come in quella della Yates, pure l’eroina (con un’esperienza di overdose nel 2008). E ancora, accanto al corpo senza vita di Peaches è stato ritrovato il suo secondogenito Phaedra, 11 mesi, che giocava tranquillamente: proprio come per Paula, accanto al cadavere della quale giocava serena e incosciente una piccolissima Tiger Lilly Hutchence. E infine, un giorno prima di morire, Peaches pensa proprio a Paula e posta sul suo account twitter una nota foto che le ritrae insieme, la Yates raggiante, tenera e persino ingenua, in braccio la piccola Geldof, che già rivelava nei tratti il mix perfetto tra quelli della giornalista e quelli, inconfondibili, di Sir Bob. Come segni, appunto, inconciliati e imprescindibili. (ph REX)
Rosa Criscitiello