GRATEFUL DEAD E I LORO 50 ANNI DI CARRIERA. Festa e saluto ai fan con un concerto eccezionale a Chicago
Un tour in cinque tappe e due stati per festeggiare i 50 anni di carriera e salutare (forse) per sempre i fan: i mitici Grateful Dead, padri del rock psichedelico, regalano al loro pubblico un inarrivabile mini tour, il “Fare Thee Well” tour, culminato con lo show dello scorso 5 giugno al Soldier Field di Chicago, lo stadio dove la band di Palo Alto si esibì, nel 1995, per l’ultima volta con Jerry Garcia, prima che il chitarrista morisse. ”Ho trascorso la mia vita / alla ricerca di tutto ciò che non è stato ancora cantato/forgiando il mio orecchio per percepire la tonalità”, cantava Phil Lesh, basso e voce per i GD, nella notte di Chicago, in armonia con i colleghi vecchi e nuovi: infatti, questa è per l’esattezza l’ultima operazione che i Grateful faranno con questo nome, che oggi caratterizza una formazione composta dai membri storici Phil Lesh, Bob Weir (voce, chitarra ritmica), Bill Kreutzman (batteria) e Mickey Hart (batteria, percussioni), più Trey Anastasio dai Phish, Jeff Chimenti dai RatDog e il ritorno del versatile e geniale battitore libero Bruce Hornsby, alla voce e tastiere.
Dopo il 1995 e la morte di Garcia, infatti, la leggendaria band si era praticamente sciolta, optando per parziali re-union e nuove formazioni come The Other Ones, Crusader Rabbit Stealth Band o semplicemente The Dead. Ma col Fare Thee Well e, in particolare, con lo show di Chicago, i Grateful Dead hanno saputo regalare un’ultima, generosa magia, suonando canzoni leggendarie come ”Drums”/”Space” e “Truckin,’” della quale l’iconico ritornello “What a long, strange trip it’s been” non è mai sembrato così meritato da cantare per i Dead. E ancora, una potente versione di “Estimated Prophet” con una chitarra così intensa da mettere in difficoltà la capacità vocale di Bob Weir. “Mountains of the Moon” ha invece ceduto una quota della sua natura “spaziale” ad una lettura blues-jazz, mentre le ultime canzoni, tra le quali ”Built to Last” e “Throwing Stones”, hanno reso intellegibile il vero senso dello show, che era quello di comunicare ai 70.000 del Soldier Field che il materiale suonato e le mille trasformazioni racimolate in 50 anni di carriera non sono poi così importanti quando hai inventato un linguaggio nel panorama della musica contemporanea. A noi non resta che sperare che ci ripensino, e ci diano la possibilità di salutarli di persona anche in Europa.
Rosa Criscitiello