GUADAGNARSI IL PANE. ONESTAMENTE

Forse che il popolo della terra dove risiede il Pontefice cattolico abbia preso, dopo più di duemila anni, in seria considerazione l’evangelica esortazione al “non di solo pane vive l’uomo”? Di recente la Coldiretti ha reso noti i dati rivoluzionari sul rapporto dei nostri connazionali con il pane.

Un italiano ormai mangia 33 chili di pane all’anno, cioè soltanto circa 90 grammi al giorno. Solo nel 2000 ne mangiava 180 grammi al dì. Appena 35 anni fa ne assumeva la bellezza di 230 grammi. Per non parlare di quanto ne ingerisse agli albori dell’unità nel garibaldino anno 1861: quasi un chilo e 100 grammi. Parliamo sempre di statistiche e dunque vale l’apologo di Mark Twain che se io maglio due pani e tu nessuno, abbiamo mangiato un pane a testa (anche se era un pollo).

Nelle classifiche mondiali oggi, invece, l’Italia occupa un posto bassissimo: nella verde Irlanda si consumano in un anno 68 chili pro capite di pane, cioè  più del doppio che nel nostro Paese; e i cileni mangiano 96 chili a testa ossia, rispetto a noi, tre volte tanto, come recitava un vecchio slogan pubblicitario delle merendine.

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I più ghiotti di pane al mondo sono i turchi che superano i 105 chili annui a persona, ma noi italiani siamo al di sotto di tanti altri popoli: i pan-zer di Germania arrivano a 55 chili l’anno, gli ungheresi e gli olandesi si attestano sui 60 chili, mentre gli abitanti della neutrale Svizzera (quella di “Pane e cioccolata” dell’indimenticato Nino Manfredi) toccano quota 70 e gli argentini – pur compaesani del Papa e dunque sensibili ai richiami delle Sacre Scritture – arrivano a 76 chili.

Cosa può voler dire una trasformazione alimentare del genere? Che il pane non si vende più come il pane? Eppure il settore in Italia fattura 7 miliardi di euro all’anno, occupa 25 mila imprese e 400 mila addetti (i vecchi fornai e i nuovi panettieri). Oppure questo calo vertiginoso significa che  fra gli italici confini oggigiorno si bada più al companatico che al pane? Pensate che solo il 37% dei nostri concittadini si reca tutti i giorni ad acquistare pane fresco, mentre il 16% vi va una volta ogni due giorni, ben il 22% due volte alla settimana e l’11% addirittura una sola volta.

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Suvvia, diciamoci pane al pane e vino al vino, gli italiani a tavola (e non solo) si sono un po’ rammolliti, non usano più rendere pan per focaccia. Una certa resistenza non è più pane per i loro denti. Anche perché risulta interessante esaminare quale sorte subiscano gli avanzi di pane: per il 9% dei nostri compatrioti, il pane fresco non avanza mai;  quasi la metà (il 46%) lo mangia il giorno dopo; il 18% di profani lo surgela, il 15% di amici degli animali lo dà a mangiare alle bestie domestiche e un minoritario 12% lo grattugia, secondo una abitudine che ricorda le felici tostature al forno e le conseguenti grattate al frullatore che faceva la Nonna in antichi odori e sapori di cucina.

Eh già, perché ai tempi della Nonna non si faceva che chiedere al Pater Noster di darci il nostro pane quotidiano, mentre oggi scopriamo che il Signore dà il pane a chi non tiene i denti. Siamo ben oltre la triste storia di “Marcellino pane e vino”.

 

Oppure – altra interpretazione possibile dei dati – ci stiamo levando il pane da bocca, per darlo al nostro prossimo, ad esempio, ai migranti? “Dove troveremo tutto il pane per sfamare tanta gente?” si interroga un canto dell’offertorio in Chiesa. Tuttavia non pare proprio che prevalga nell’attualità un qualche spirito altruistico: magari ci saranno ancora persone buone come il pane, però nel nostro Bel Paese permangono moltissimi che mangiano pane a tradimento e che meriterebbero di essere condannati in galera a pane e acqua. D’altronde, se non é zuppa é pan bagnato.

Meno pane, meno educazione? Nelle nostre terre meridionali – si sa – si è sempre detto “mazz e panell fanno ‘e figli bell”. La cultura contadina dello zappatore rivela che “panell senza mazz fanno ‘e figlie pazz”.

Piuttosto sará colpa  delle smanie nutrizionistiche moderne in continua diffusione? Negli ultimi tempi si sono moltiplicati molti pani (più dei pesci) consigliati dal medico: pane di kamut, di farro, di zenzero, di orzo, di crusca, di segale, di grano duro, di grano morbido, di patate, integrale, meticcio, cafone, cotto a legna. Una varietà regionale e provinciale più o meno arricchita da cloruro di sodio che – nell’astinenza ordinata dal dietologo – non fa però venir meno la dantesca percezione del “come sa di sal lo pane altrui”.

 

Dino Falconio
Chi non ha il coraggio di difendere le proprie idee o è un uomo che non vale niente o non valgono niente le sue idee!

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