Il PADS e il silenzio
Si chiama PADS, Post Adoption Depression Syndrome. E’ la depressione che colpisce i genitori adottivi dopo l’arrivo dei loro bambini. Le statistiche dicono che ne è colpito circa un genitore su tre con sintomi che sono proprio quelli della depressione post-partum: astenia, irritabilità, tristezza, paura, sensi di colpa, malinconia, pianto incontrollato.
Uno studio condotto pochi anni fa ha evidenziato che la colpa è degli ormoni surrenalici che cadono in picchiata: dopo l’arrivo del bambino si sgretolano improvvisamente tutte quelle barriere che, fino a quel momento, avevano reso i genitori adottivi, impermeabili alle infinite difficoltà dell’iter adottivo.
Una sorta di giustizia divina che rende i genitori adottivi del tutto “pari” a quelli biologici. Con una differenza però. Se è vero che la depressione è una malattia nascosta, lo è ancora di più nei casi di gravidanza adottiva. “Partum” non è solo la sublime conseguenza dell’arte maieutica di socratica memoria ma è anche ciò che “provoca”. L’adozione mette a dura prova i nervi; provoca appunto.
In primis per il percorso impervio a cui si è sottoposti prima e dopo il giudizio di idoneità da parte del Tribunale, poi per l’immenso sforzo di adattamento che l’essere genitori adottivi impone. La genitorialità adottiva sottopone la coppia alla ricerca di un nuovo centro, quello che i cristiani definiscono “kèrigma”, ovvero il fulcro.
Dapprima era tutta una forza incentrata sui propri nervi, su questi ci si puntava e da questi se ne traeva forza; una volta che l’impalcatura cade (perché il peso di una famiglia “gemmata” è, indiscutibilmente, notevolmente superiore) resta il vuoto. Mancanza di appigli appunto. Tutto questo non deve spaventare ma deve piuttosto condurci ad una riflessione: perché tanto silenzio su una problematica che colpisce gran parte dei genitori adottivi? Perché tanto pudore nell’ammettere debolezze che tali non sono?
Nascondere queste emozioni non serve di certo ad escluderne l’esistenza. Il silenzio contribuisce unicamente a far sentire “monade” la coppia, isolata dagli altri e lontana dalla comprensione altrui. Come nel caso del baby-blues ormonale delle madri biologiche, anche il PADS richiede una buona dose di umiltà, primo e fondamentale passo del chiedere aiuto. Ci viene incontro un’immagine – che senz’altro rende la portata dell’immenso sforzo richiesto alle famiglie adottive che è ben lungi da quello delle famiglie biologiche - che è quella del “terzo parto della genitorialità adottiva” dove c’è un figlio che deve cominciare a sentirsi tale nonostante la ferita dell’abbandono, un genitore che deve passare dalla sfera dell’immaginato a quella del reale e una famiglia che deve essere costruita il più delle volte sul fallimento di una precedente.
Non è roba per tutti. Appellarsi alla clemenza della corte della propria coscienza sarebbe atto dovuto che aggiungerebbe auspicata giustizia al cimento.
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