KETTY MARTINO. La poesia come forza catartica
“Partorisco fossili e parole resto incisa nella terra mai nelle persone”.
“Del distacco e altre impermanenze” (edizioni La Vita Felice) è la nuova raccolta di poesie di Ketti Martino. Il libro, come spiega Rita Pacilio nella prefazione “appare quasi un racconto lirico, un monologo struggente ed evocativo dove la nerezza del male e della malattia sbiadisce perché la poesia ha bisogno di uscire da sé per congiungere ogni spazio terreno ed essenziale , ogni sconcertante testimonianza intima all’ascendenza intellettuale e spirituale del creato”. La forza delle parole della Martino trascina, confonde, smarrisce. Il lettore, però, non viene mai colto da una sensazione di paura o insicurezza ma accolto in una dimensione onirica dove il tutto galleggia insieme al nulla.
Come nasce questa raccolta di poesie?
Nasce da un’assenza, da un distacco che non è solo fisico o psico-fisico ma esamina con lucidità il dolore dell’assenza .Come un fluire dell’esistenza nel suo divenire giornaliero, nel suo panta rei, che conduce ad una sorta di catarsi, di affrancamento da ogni dolore. Per la scrittura è indispensabile credo non una mancanza ma un’incompletezza. Ma non per una buona scrittura. “C’è nello scrivere un trattenere le parole, non come nel parlare” (Zambrano). Scrittura come catarsi.
“Del distacco e altre impermanenze”: ci spiega il titolo del suo libro?
Il titolo evoca e fa riferimento a un distacco doloroso che non è semplice lontananza fisica ma vera e propria amputazione. Ci si riferisce al distacco da una persona amata, ma potrebbe, allo stesso modo, riferirsi ad altro genere di distacco. Il concetto di impermanenza, parola che deriva dal sanscrito e che indica uno dei tre aspetti dell’esistenza secondo la spiritualità buddista, in particolare il cambiamento, il divenire, ha in sé come significanza, evidentemente, anche l’elaborazione del distacco attraverso il cambiamento. Il Budda esorta a non limitarsi a parlare dell’impermanenza, ma ad usarla come strumento per aiutarci a penetrare profondamente nella realtà e ottenere una visione interiore liberatoria. Potremmo essere tentati di dire che la sofferenza esiste perché le cose sono impermanenti. Ma Senza l’impermanenza la vita non sarebbe possibile. Come potremmo trasformare le nostre sofferenze se le cose non fossero mutevoli?
Il libro è suddiviso in 4 sezioni: Capitolo di te; Dov’è lo spazio vuoto e cosa; Porte; I fiori e le buone nuove
Il libro è quasi un monologo interiore, o monologo a due, se così si può dire, dove la vicenda umana diviene una sorta di itinerario di formazione. Si snoda difatti lungo un percorso anche temporale che, dalla cupezza del dolore, del ricordo struggente, arriva via via a ritrovare spiragli di luce sempre più ampi. Le 4 sezioni rappresentano i momenti stessi di questo cammino che si riapre alla vita e riapre gli occhi alle piccole scoperte (o riscoperte) e che nell’amore per la vita ritrova un nuovo senso, ricostruendo sulle macerie.
Cos’è per lei la poesia?
Questa è una domanda che chiunque scriva poesia prima o poi si pone. Posso dire che per me la poesia è tante cose: un navigare sotto traccia nel mio vissuto; un’opera di scavo per portare alla luce e dare un nome a quanto di inconosciuto ci possa essere dentro noi stessi; un occhio attento che guarda il mondo sempre con stupore, cercando di darne una lettura meno superficiale e sommaria, per esempio. Infine mi piace pensare, e sento, la poesia anche come resistenza: resistenza alla brutalità della società contemporanea; riparazione di ferite altrimenti insanabili; il desiderio di lasciare traccia del nostro passaggio sulla terra; il bisogno di lanciare segnali di fumo nel grigio vuoto e nel silenzio che quotidianamente ci devasta.
Enrica Buongiorno