NAPOLI APPESA A UN FILO. Domani nello Spazio Nea sarà presentato l’”affresco” letterario di Francesco Costa
Otto personaggi, uomini, donne e un gatto a comporre il mondo che Francesco Costa, regista, sceneggiatore, attore e scrittore, racchiude nelle pagine di Napoli appesa a un filo (Iemme Edizioni). Personaggi che Nando Vitali, curatore della collana Pantone Neon 808, cui appartiene il lavoro di Costa, definisce “comicamente tragici”. E che io, a immaginare un film, li vedrei in una pellicola diretta da Ozpetek in un condominio come quello dalla meravigliosa e colorata terrazza delle Fate ignoranti che tanto ho amato.
Un coro polifonico con le voci di Angelo Amoroso, Basilio Amoroso, Olga Amoroso, Tommaso Amoroso, Beatrice Amoroso, Livio Amoroso, Norma Amoroso, Riccardo Amoroso. Non sono parenti e non si conoscono affatto ma in fondo è innegabile che Napoli sia una grande famiglia. Sempre e comunque. E l’autore anche questo ha colto e messo in evidenza dei nostri usi e costumi.
L’ho incontrato Francesco Costa. Con la curiosità di chi tra quelle pagine trova finalmente un collage di racconti che non hanno alcun obiettivo precostruito né sono figli di un progetto editoriale studiato a tavolino. E l’incontro mi rivela il motivo di questa mia intuizione. Lui è napoletano ma vive da tanti anni Roma. Conserva il suo legame con Partenope, ambientando qua i suoi racconti e i suoi lavori. Un incontro che è durato finanche troppo poco, oscillando tra Blanch de Bois e le onde di Virginia Wolf, scrittrice che Francesco tanto ama.
L’ho incontrato un sabato sera nello Spazio Nea di piazza Bellini alle 19.45. E l’ho salutato alle 21.15, convinta che fossero trascorsi non più di venti minuti. Un incontro piacevole che manda il tempo altrove perché poi ritrovarsi a chiacchierare e non annoiarsi è impresa sempre più ardua e alquanto complicata. E solo dopo il nostro incontro, volto il libro e in quarta di copertina leggo che lui, Francesco Costa, racconta Napoli ma in particolare racconta i Campi Flegrei. È qui che sono nata.È qui che ho vissuto tanta parte della mia vita. Ed è un luogo meraviglioso davvero. Forse il nostro feeling immediato nasce proprio da quest’ammirazione condivisa.
«Napoli è una città appesa a un filo. Una città sospesa. Sembra sempre che stia per accadere qualcosa di catastrofico, che stia per sprofondare ma resta in piedi» (Francesco Costa). E così, con questa riflessione, assoluto specchio di una città croce e delizia di chi la abita e la vive, inizia la nostra chiacchierata sul libro.
Com’è nata questa storia di voci soliste? Qual è il punto di vista scelto per raccontarla? E come hai vissuto il rapporto con i personaggi che hai creato?
Napoli appesa a un filo è un storia che non ho raccontato da regista ma ho vissuto come attore. Il metodo Stanislavski mi ha permesso di vivere l’emotività dei personaggi e di emozionarmi rileggendoli e rincontrandoli in quelle pagine. Uno scrittore crea personaggi che non lascia finché non sono capaci di stare in piedi da soli. Li ho vissuti con lo stupore che solo nuovi e piacevoli incontri possono destare.
Chi hai amato di più?
Ogni personaggio che si è presentato sulla scena, mi ha trasmesso a modo sua e nella sua singolarità un’emozione. Ma chi mi ha emozionato particolarmente è stata Olga. Ci ho messo un po’ a trovare l’aggettivo che potesse descrivere il suo incedere fuori di casa… verso il manicomio in cui era diretta su disposizione del medico. “Spedita” era la sua camminata. Olga mi ha emozionato al punto di farmi piangere. Ero sulla solita panchina a Villa Panfili e una signora si è fermata: «Sta bene? Ha bisogno di aiuto?», mi ha chiesto. «Ho avuto un grave lutto» è sta la mia risposta istintiva e non ragionata. Per tutti gli altri ho provato emozioni senza giudicare nessuno di loro. Non ho giudicato neanche il puttaniere dell’ascensore alla continua ricerca di una specie di balsamo di vita.
Sono tutti diversi. Uomini. Donne. Diverse età. Diverse estrazioni sociali. Cosa rende le tue voci soliste un coro polifonico e armonioso?
Tutti diversi è vero. Ma in fondo uniti dalla disperazione che però non si traduce in distruzione o autodistruzione. Piuttosto diventa voglia di riscatto. Questi personaggi sono tutti appesi/sospesi. Chi per la testa, chi per i piedi, chi con la mano stringe il cornicione di un palazzo. E ognuno trova una giustificazione alla sua esistenza, come Livio Amoroso che si ritrova bloccato in ascensore con la moglie (incinta), una ventenne pittrice inquilina del palazzo (anche lei incinta di lui) e al telefono una camorrista che urla di essere incinta (ancora una volta di lui) e la sua conclusione è che infondo lui è un donatore di felicità. O come Norma, la ballerina che rientra a casa all’alba con un tacco spezzato, non conosce l’amore o forse l’amore, pensa, è il figlio che dorme. Poi c’è Beatrice, un’adolescente obesa e bulimica, figlia di una madre altezzosa, egocentrica e presuntosa che le nega le favole e costretta a condividere la sua vita con compagni di classe che sperano di assistere al suo suicidio dal palazzo di fronte. Suicidio sollecitato con sms da una fantomatica amica che lei non ha mai incontrato, Lucia.
Quali emozioni e quali colori trova il lettore tra le pagine di Napoli appesa a un filo?
Umorismo, tragedia, speranza e, comunque sempre, anche nel più oscuro dei racconti, fierezza. I colori. Ogni racconto ha una sua cifra cromatica. C’è il nero. E c’è il grigio del crepuscolo per la povera Olga (omaggio alla Blanch de Bois).
Colonna sonora?
Da Mozart a Gershwin. Ma anche le melodie della canzone napoletana.
Dopo Napoli appesa a un filo, Francesco Costa scrittore a cosa si dedicherà?
In primavera uscirà per Bompiani Orrore vesuviano. E qui torno a essere regista con una diversa cifra narrativa che, raccontando il degrado dell’hinterland, passa dal comico all’horror.
SPAZIO NEA // SABATO 13 DICEMBRE // ORE 17.30 // INGRESSO LIBERO
Francesca Scognamiglio Petino