PHILIP SEYMOUR HOFFMAN. Addio con rabbia al grande trasformista in bilico tra teatro e cinema
Avrebbe avuto ancora tanto da raccontare e da mostrare della sua capacità di entrare e uscire da ruoli impegnativi. Schivo e riservato, raro vederlo sui red carpet. Un professionista che considerava “il grande schermo per le persone speciale. Io sono una persona normale”, Philip Seymour Hoffman è uno di quei volti teatrali e cinematografici che molti di noi avrebbero ancora incontrato con grande piacere nelle sale e applaudito ai suoi meritati riconoscimenti come l’Oscar conquistato con l’interpretazione di uno scrittore controverso come Truman Capote nel film A sangue freddo. E nessuno, immagino, dimenticherà i suoi personaggi, dall’infermiere di grande dolcezza e umanità di Magnolia, al prete accusato di aver abusato di un ragazzino del Dubbio fino allo stratega di Hunger Games Plutarch Heavensbee. Come nessuno dimenticherà le pellicole d’autore che lo hanno visto protagonista e che, in alcuni casi sono diventati veri e propri cult, come Il talento di mister Ripley, Il grande Lebowsky, Boogie Nights e The Master.
Segue lezioni di recitazione e di arte drammatica a New York, si diploma nel 1989. E alterna, nel corso della sua carriera, palcoscenico e grande schermo. Dopo il debutto con il cinema indipendente e la partecipazione al film Triple Bogey on a Par Five Hole di Amos Poe, entra nell’Olimpo dei grandi nel 1992 quando riesce a ottenere un ruolo in Scent of a Woman.
Nel 2008 aveva conquistato la sua seconda nomination all’Oscar grazie al film La guerra di Charlie Wilson di Mike Nichols. Nel 2009 era arrivata la terza nomination con Il dubbio, accanto a Meryl Streep, per il suo ruolo di sacerdote sospettato di aver abusato di uno studente di colore. Nel 2012 la quarta candidatura all’Oscar per Le idi di Marzo.
Nel 2010 aveva anche debuttato alla regia, con Jack Goes Boating, una commedia della quale è anche protagonista.
E fermiamoci qua. Inutile continuare a snocciolare ricordi e stilare la lista di premi, ruoli, carriera. Philip Seymour Hoffman è stato capace di emozionare chiunque lo abbia ammirato, in qualunque ruolo e interpretazione. Sul grande schermo sempre con il teatro dentro che ti distingue e ti rende grande. Saremo stati ancora pronti a emozionarci e seguire la sua carriera che ieri è stata stroncata da un’overdose di eroina. Hoffman è stato trovato morto nel suo appartamento di New York ancora con l’ago nel braccio.
Alla compagna Mimi O’Donnell e ai suoi tre figli, Alexander, nato nel 2003, Tallulah, una bimba di otto anni, e Willa, di sei, il dolore di non averlo più. A noi la rabbia di una fine troppo ingloriosa.
Una fine inattesa per il grande trasformista che pochi giorni fa aveva presentato il suo nuovo film, A most wanted man, tratto da un romanzo di John Le Carré. Magari chissà avrebbe conquistato un altro Oscar.
Francesca Scognamiglio Petino