ROCK IN LUTTO. Muore il legendary heart Lou Reed
Tra le centinaia di omaggi incontrati in rete domenica 27 ottobre, il giorno della scomparsa di Lou Reed, ne scelgo uno, personale e non formalmente letterario: quello del giovane poeta toscano Luca Buonaguidi il quale, con affilatissima semplicità, offriva ieri dal suo profilo facebook l’ascolto di “Berlin”, concept album dell’improvvido dolore di fallire dentro un tempo “libero” e dunque felice per statuto, vale a dire gli anni Settanta, motivando la sua scelta così: “Se dovessi spiegare a un alieno l’esperienza del dolore umano gli direi di sedersi, mettersi le cuffie e ascoltare questo disco.” Berlin” (RCA, 1973) è opera particolarmente esemplificativa della folgorante quanto controversa curva umana ed artistica di Reed, classe 1942, pupillo di Andy Wharol che gli finanziò, nel 1966, il progetto Velvet Underground , creato con John Cale, e poi da solo, senza più i Velvet, dentro quei Settanta, per l’appunto, che trovò difficili e lo trovarono difficile, addirittura inefficace in principio, e lo costrinsero a cominciare d’accapo dopo i fasti della Factory: “Lou Reed” (RCA, 1972) passa quasi inosservato, ma poi David Bowie, sotto RCA come lui, decide di aiutare quello che riconosceva essere già allora uno dei suoi massimi ispiratori, e gli produsse “Trasformer” (RCA Records), il disco di Perfect Day, Walk on the wild side, Satellite of Love, per intenderci. E dopo? Dopo Berlin, per l’appunto: terzo disco, opera rock lugubre e drammatica sopra il male di vivere di Caroline e Jim, coppia eroinomane, violenta e suicida dentro una Berlino dipinta proprio come l’impero alla fine della decadenza cantato da Verlaine (Paul, non Tom, ma qui persino la confusione è rock). Berlin parte male, è disturbante, rovina a molti la festa dei Settanta: oggi c’è chi lo considera uno dei migliori lavori del maledetto Lou ed il miglior concept album della sua decade. A proposito di Metal Machine Music (RCA Victor, 1975), Lou Reed dirà “le mie intenzioni erano serie. Ma ero anche molto, molto fuori di testa”: solo per i “Legendary Hearts” come Lou una vita di perfect days. Perdutamente imperfetti.
Rosa Criscitiello