WEARABLE TECHNOLOGY. Se l’abito lo fa lo scienziato

Bracciali che ci dicono se abbiamo fatto abbastanza sport, magliette che ci avvisano se abbiamo l’influenza o anelli capaci di farci incontrare l’anima gemella. Nell’era digitale, una dei maggiori interessi della scienza riguarda la conquista del corpo. Dopo cellulari, televisioni ed elettrodomestici di ogni genere, in fatto di innovazione tecnologica la parola d’ordine sembra essere una sola: “integrazione”. Ecco spiegato tutto il lavoro che vede oggi impegnati fior fior di cervelloni per lo sviluppo di quella che inglese viene definita “wearable technology” (tecnologia da indossare). Va detto, a scanso di equivoci, che nella maggior parte dei casi non si tratta ancora di device permanenti, bensì di gadget più o meno utili e costosi, e molti sono solo dei prototipi. E l’idea non sarebbe neanche malvagia, se non fosse che, come al solito, in diversi casi si è scatenata una vera e propria fissazione hi–tech. Succede allora che per il footing all’aria aperta aspettiamo che ad ordinarcelo sia il nostro braccialetto del fitness o che ci affidiamo ad una App per scoprire se staremo bene o meno con una persona. Finirà che per monitorare il sonno avremo coperte intelligenti; magari anche posate elettroniche per tenere sotto controllo il consumo calorico o vestiti pronti a rilevare i nostri parametri biomedici per essere sempre al corrente della nostra condizione fisica. Meglio non pensare neanche a cosa potrebbero portare questi studi se applicati alla carta igienica… Ironia a parte e fatta eccezione per tutte le innovazioni che possono realmente migliorare il benessere, qualcosa di inquietante c’è. Viene da chiedersi se non ci si stia affidando un po’ troppo alla tecnologia. Non è che di questo passo ci troveremo a delegare ad un computer anche decisioni sui nostri stessi gusti?

Raffaele Nespoli