WORDSMITH. Arriva il robot giornalista. Una figata pazzesca che fa tremare gli automi non pensanti!
Dando uno sguardo al web, inciampo in un articolo in cui si racconta di Wordsmith, il robot giornalista che già da un paio d’anni svolge egregiamente il suo lavoro nelle stanze di Associated Press, la più grande agenzia di stampa statunitense, dove i “take” battuti da 300 hanno raggiunto lo straordinario numero di 3.000!
E così, finché non si arriva all’ultimo paragrafo (che pure dà spunto a qualche riflessione), con le descrizioni dei pregi (uno su tutti: l’imbattibile velocità con un’esponenziale incremento delle notizie), Enrico Marro, giornalista del Sole 24 Ore, fa tremare parte della categoria (quella, a parer mio, che ha scelto di fare questo mestiere senza conoscerne l’ABC e agendo appunto come un automa: meglio 1 automa funzionale e funzionate +1 umano che inserisce dati che 10 automi in una redazione… piatta!).
Robbie Allen, fondatore e Ceo di Automated Insight, azienda che ha creato il “robot paroliere” spiega che «Wordsmith è un nuovo modo di scrivere e sviluppare contenuti utilizzando i dati. Il processo è in parte di scrittura e in parte di elaborazione logica, con i dati a fare da collante». Ha ancora bisogno dell’aiuto dell’uomo però, il robottino prodigio, capace di scrivere in un buon inglese, partendo dall’inserimento dei dati. Fino a oggi, Wordsmith di articoli ne ha scritti 1.000.000.000 tra trimestrali delle aziende USA e eventi sportivi minori (cronaca, spettacoli, cultura, dove si spera si abbia ancora voglia e sapienza per parlare e approfondire, pare, almeno per ora, siano al riparo!).
Il pregio di Wordsmith è sicuramente quello di concedere ai giornalisti più tempo per dedicarsi a lavori di studio e ricerca (indispensabile per chi ha scelto questo mestiere) che possono riaccendere la sopita miccia della curiosità.
Poi si arriva alla chiusura dell’articolo, dove Marro prova a sgomberare il campo da ogni preoccupazione, scrivendo che Wordsmith «toglie lavoro agli umani, permettendo loro di dedicare più tempo a quello che (in teoria) sanno fare meglio: pensiero critico, capacità di risolvere problemi complessi, creatività, abilità nel comunicare in modo empatico». Tutta roba che, in pratica, oggi è appannaggio di pochi, pochissimi giornalisti!
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