I RADIOHEAD TORNANO CON “BURN THE WITCH”. Le ispirazioni e i misteri del nuovo singolo della band britannica ne fanno già un classico contemporaneo della lettura del presente

“How to disappear completely”, come scomparire del tutto. È stato sin troppo facile cogliere il legame di senso che ha unito, la scorsa domenica pomeriggio, il titolo di questo brano dei Radiohead, contenuto nell’album “Kid A” del 2000, alla operazione di comunicazione voluta dalla band capitana da Thom Yorke, e già ribattezzata di “anti-viral marketing”, che si è concretizzata nello “svuotamento” dai loro contenuti di tutti gli spazi web della formazione dell’Oxfordshire (fb fanpage, account twitter, anche quello  di Yorke e il sito ufficiale, del quale addirittura risultava attivo solo l’URL). Non è la prima volta che i Radiohead fanno precedere l’uscita di un nuovo lavoro da alcune azioni precise e da una serie di misteriosi indizi che, questa volta, sembrano ruotare intorno alla riflessione sul rapporto tra realtà, relazioni umane e comunicazione: prima di tutto l’invio a un nutrito gruppo di fan britannici, mediante posta fisica, di un criptico volantino nell’ambito del quale veniva nominata una certa “Burn the Witch”, alla cui prima versione la band aveva già lavorato tra il 2003 e il 2005; poi un verso dalla tradizionale ninna-nanna inglese “Sing a song of sixpence” e, per finire, l’inquietante monito “we know where you live”, “sappiamo dove vivi”. Inoltre, a gennaio e febbraio la band aveva registrato due nuove società di capitali, la Dawn Chorus LLP e la Dawnnchoruss Ltd.: era già successo prima della release sia di “In Rainbows” che di “The King of Limbs”. Infine, lunedì il il tweet di Nigel Godrich, produttore della band, con la foto di una pagina di “The plot genie index” di Wycliffe A. Hill, il geniale manuale americano del 1936 per la creazione di trame letterarie, quel “Plot Robot” di carta che è stato l’antesignano di tutti i generatori automatici da social. Chi ha raccolto le molliche di Pollicino fin qui non è rimasto deluso: ieri pomeriggio, con una piccola anticipazione su Instagram, i Radiohead hanno licenziato singolo e clip nuovi, “Burn the Witch”, per l’appunto.

BURN THE WITCH | ph credit YOUTUBE

BURN THE WITCH | ph credit YOUTUBE

Il membro del management della band Brian Message aveva sostenuto, qualche tempo fa, che il nuovo album dei Radiohead sarebbe stato qualcosa di “mai sentito prima”, alzando così, si può supporre con certo margine di esattezza, in maniera esponenziale l’asticella delle solite aspettative indie di electro-inusualità ad ogni costo. Ebbene, la canzone che adesso si ipotizza arrivi ad anticipare il nono album della band è molto più vicina ai capisaldi del rock, art rock, certo, ma comunque quello con la “r” maiuscola, di quanto le uscite di Message abbiano fatto sospettare e, nel senso più ampio del termine, molto più suonata che elettronica. “Burn the Witch” è una sintesi di codici musicali lineare, stratificata, raffinata, che ha il sapore della colonna sonora, nell’ambito della quale l’upbeat ottenuto col pizzicato con legno degli archi, teso e emozionante, omaggia e supera una porzione ultra-quarantennale di innesti tra le strutture della musica di repertorio e il rock’n’roll, dai monumenti come Pink Floyd e King Crimson (penso a “Islands”, ma pure a qualunque altra possibile creatura di Fripp ed Eno ai quali, ci scommettiamo, questo brano deve essere piaciuto parecchio) alle ossessive cupezze in minore delle atmosfere dei Joy Division, e fino ad approdare ad un preciso fil rouge interno alla produzione della band britannica, che passa per il 1997 di “Ok Computer” e arriva al 2003 di “Hail to the Thief”.  L’androide paranoide Thom Yorke, poi, butta giù, col suo cantare meno ridondante, una manciata di versi insidiosamente evocativi. Echeggiano le atmosfere involontariamente allucinanti della filastrocca infantile anticipata nel misterioso flyer ai fan, “Sing a song of sixpence” per l’appunto, nel testo della canzone che si conclude col minaccioso “we know where you live” e che, prima ancora, costeggia il tema della società della sorveglianza, ma pure quello del mutuo controllo delle opinioni nell’era della omologazione digitale e, soprattutto, il rischio di essere additati come problematici se si sceglie l’inattività mediale e ci si sottrae così alla compulsiva esposizione e al compulsivo sguardo delle Reti Sociali: ““Loose talk around tables / Abandon all reason / Avoid all eye contact / Do not react / Shoot the messenger / This is a low-flying panic attack”, ad affrescare l’uomo-macchina, che rifiuta con tutto sé stesso di accogliere il messaggio salvifico che è nella propria crepa interiore (“shoot the messenger”, spara al messaggero, brucia la strega, per l’appunto) e che perciò vive di afasia emotiva, scollamento da sé, razionalistica repressione del desiderio. E naturalmente attacchi di panico, a bassa quota per di più.

L’altra metà dei cieli neri di “Burn the Witch” è di certo il suo clip, diretto da Chris Hopewell (già regista di “There, There”, dall’album “Hail to the Thief”), un piccolo gioiello in stop-motion nello stile del celebre programma britannico per bambini “Trumpton”, ma ispirato alla trama del capolavoro horror del 1970 “The Wicker Man”. Il clip eredita da “Trumpton” la satira mordace contro l’attitudine britannica all’uptightness, al controllo normalizzante che punta a soffocare le emozioni e l’indignazione politica. Ma il concept registico di Hopewell supera quello del celebre BBC show per ragazzi, inserendovi la storia di “The Wicker Man”, quella di una inquietante piccola comunità ritenuta cristiana e poi scopertasi preda di un paganesimo vuoto di religio e di senso. Per questa via, la metafora si fa attuale e la denuncia globale.

Il paesello delle streghe messo in scena dall’animazione del video ha il sapore dei borghi pastorali nei quali l’inquieto Boccadoro del capolavoro di Hesse capita, nel corso del suo peregrinare, a sollevare il velo di una apparente innocenza che cela invece una verità di balorde efferatezze. E, se le digital community sono i nostri modernissimi  villaggi, la verità da svelare è quella di un delirio di apatica crudeltà dalla quale il nostro più piccato, sottile e brillante post su Facebook non ci mette al riparo. La partita, dunque, è quella di non scomparire del tutto alla nostra umanità, e i Radiohead sembrano volerci ricordare che, se pensiamo di vincerla sui social, e allora abbiamo già perso tutti.

 

Rosa Criscitiello
Uno spettacolo si può preparare in un mese. Improvvisare, invece, richiede una vita. (Pino Caruso, Ho dei pensieri che non condivido, 2009).

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