125 ANNI DI NATIONAL GEOGRAPHIC E UNA MOSTRA A ROMA. Un mondo per immagini che non cambia mai
L’umano e tutto ciò che ha creato, e insieme il regno animale e vegetale, sono da 125 anni catalogati dalla rivista National Geographic, che quest’anno festeggia il riguardoso anniversario, con un numero speciale, “da collezione”, e una mostra intitolata “La Grande Avventura – National Geographic 125 anni nel mondo, 15 anni in Italia”, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, visitabile fino al 2 marzo 2014. Tante foto esposte quante sono state le uscite di un giornale, diventato noto per i suoi fotoreportage.
Arthur Buchwald ben sintetizzò, non senza ironia, il sentimento di stupore ed insieme di irraggiungibilità che erano capaci di destare le sue immagini: “Guardo National Geographic – disse- con lo stesso atteggiamento con cui guardo Penthouse (rivista erotica concorrente di Playboy, ndr.): per vedere luoghi meravigliosi dove non riuscirò mai ad andare di persona”. Ma le foto della rivista dal riquadro giallo non hanno solo affascinato i lettori, ne hanno anche influenzato l’estetica con un tipo di fotografia dall’impatto persuasivo, nonché rassicurante.
Facciamo un passo indietro nel tempo.
Il National nasce nel 1888, da un manipolo di trentatré esponenti scientifici della città di Washington, intenzionati a scoprire e far scoprire il mondo, prima con semplici resoconti scritti, in seguito con le fotografie, che diventano il suo vero punto forte. Il successo è clamoroso. All’epoca se ne sapeva ancora poco di ciò che succedeva sulla Terra, non eravamo bombardati di immagini come ora. Il National dunque fu pioniera in questo senso, aprendo le porte alla “geografia per tutti”.
Allora come adesso, il giornale si rivolgeva ad un bacino di lettori della borghesia benestante, a cui si offriva la possibilità di viaggiare, senza muoversi dal proprio divano. Offrendo l’esotico e il diverso, ma sempre da lontano. Quando il mondo (e la fotografia) cambia, il National Geographic prova ad adeguarsi, offrendo non solo bellezza, ma anche drammi, guerre, catastrofi naturali e umane. Ma sempre con savoir faire, senza turbare troppo, senza sbilanciarsi eccessivamente.
James Clifford in “Scrivere le culture” (e siamo nel 1986), parla di “pastorale etnografico”, una modalità di raccontare i luoghi e le culture stranieri, l’altrove, sempre cauta e un po’ leziosa. Immagini quindi che mirano più a soddisfare l’occhio, che non a scuoterlo. Cullano piuttosto che pungere, con il loro naturalismo più preteso che effettivo. Conseguenza, forse inevitabile, come qualcuno ha detto, dell’argomento geografico, che è per la sua stessa natura “di massa”. Una finestra sul mondo, insomma, come nelle dichiarate intenzioni del giornale, ma strettina, che vuole mostrare tutto, ma non troppo. 125 anni di buon compleanno, in cui il mondo cambia, ma il modo di guardarlo resta più o meno lo stesso.
info: www.nationalgeographic.it / www.palazzoesposizioni.it
Giuliana Calomino