A MOON SHAPED POOL. L’uscita del vinile di “Burn the Witch” e un percorso di lettura del nuovo album dei Radiohead
È fissata per oggi, 13 maggio, la release del vinile 7 pollici di Burn the witch, la prima canzone estratta dal nono studio album dei Radiohead e presentata, lo scorso primo maggio, con una significativa strategia di comunicazione già battezzata di anti-viral marketing. Il disco in vinile, che contiene in B side anche una reissue di Spectre, tema della colonna sonora dell’omonima puntata della saga di James Bond, pubblicato gratis su SoundCloud il giorno di Natale 2015, sarà distribuito oggi in alcuni selezionati negozi indipendenti nel Regno Unito e presto in una manciata di punti vendita dello stesso tipo sparsi per il mondo, rassicura Thom Yorke, leader della band dell’Oxfordshire, in un tweet di ieri pomeriggio. Con questa pubblicazione, che cade a una settimana quasi da quella, digitale, di A Moon Shaped Pool, l’album del ritorno della band britannica dopo cinque anni di (relativo) silenzio dall’uscita di The King of Limbs del 2011, i Radiohead confermano, dal punto di vista metodologico, il percorso di rimodellamenti che ha portato a A Moon Shaped Pool: percorso che fa di questo nuovo album una geniale sintesi di innovazione assoluta e archeologia interna alla propria curva artistica. A Moon Shaped Pool raccoglie infatti canzoni del passato dei Radiohead come tappe di un tracciato iniziatico, di un’ascensione esoterica, e forse non è un caso che il lavoro d’arte in copertina, ad opera di Stanley Donwood e che rappresenta un’idea di piscina a forma di luna, per dirla col titolo del disco, sembri invece piuttosto un’onda di mercurio liquido, il metallo primordiale caro agli alchimisti del Medioevo, che s’avvita su se stessa.
I Radiohead non sono nuovi al prendersela comoda con l’inserimento di unreleased songs, vale a dire canzoni pubblicate sporadicamente o addirittura mai pubblicate, ma solo suonate dal vivo, dentro l’impianto organico della tracklist di un album: in questo senso, la band di Abingdon sembra avere interiorizzato il senso dell’espressione latina labor limae, letteralmente “lavoro di lima”, che riguarda le lunghe elaborazioni e la meditazione poetica contro la dittatura del prodotto. Nel caso specifico, l’intervento di fino sugli appunti dal passato, realizzato con A Moon Shaped Pool, è evidente, col suo senso di climax creativo e il suo afflato di ordine definitivo nel caos delle intuizioni, sin dalla scelta di sistemare in rigoroso ordine alfabetico la lista delle canzoni: scelta, allo stesso tempo razionale e evocativa, che ricorda la costruzione immaginale di “Vocali”, la poesia di Arthur Rimbaud alla quale si fa convenzionalmente risalire la nascita del Simbolismo francese (e A Moon Shaped Pool è stato per l’appunto registrato nel sud della Francia), a omaggiare ancora una volta il senso dell’origine, il grado zero di ogni sintassi di realtà, alfabetica e numerica, come suggerisce forse la canzone The Numbers, che, con Desert Island Disk, Thom Yorke aveva già suonato nel 2015 alla Conferenza sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite, a Le Trianon di Parigi, ancora una volta in Francia.
E così ad esempio “True Love Waits”, che chiude il nuovo album, risale al 1995 ed è stata già pubblicata nel live EP del 2001 “I Might Be Wrong”; “Burn the Witch” è stata maneggiata tra le pubblicazioni di “Kid A”, del 2000, “Hail to the Thief”, del 2003, e “In Rainbows”, del 2007. “Present Tense” è almeno del 2008 ma Yorke l’aveva già suonata, col titolo di “The Present Tense”, in un set senza la band allo UK Latitude Festival nel 2009. Nel 2012, poi, durante il tour dell’album “The King of Limbs”, I Radiohead già suonavano “Identikit” e “Ful Stop”, e si fermavano a mettere su traccia “Identikit” presso il Third Man Records Studio di proprietà di Jack White, a Nashville. Tra il 2013 e il 2015, poi, la pausa dalla band e I progetti solisti: per Yorke c’è la pubblicazione di “Amok”, col side project Atoms for Peace, e di “Tomorrow’s Modern Boxes”; il batterista Philip Selway produce “Weatherhouse”. Il chitarrista e polistrumentista Jonny Greenwood si dedica infine alle colonne sonore, come quella per “Inherent Vice” del 2014, per la regia di quel Paul Thomas Anderson che firma il clip di “Daydreaming”, a dare vita a quello stupendo esempio di arte totale, col sinolo canzone-video, che è il secondo singolo estratto da “A Moon Shaped Pool”; e al lavoro con la musica classica, in particolare alcuni arrangiamenti per la London Contemporary Orchestra che, in “A Moon Shaped Pool”, suona gli archi con la tecnica percussiva del pizzicato con legno ed esegue le strutture compositive della musica di repertorio contemporanea, da Berio a Glass e persino al napoletano Luciano Cilio (i cui suoni, dai suoi “Dialoghi Del Presente” del 1977, sembra di potere riconoscere in certe linee di chitarra dell’album) e che, si può ipotizzare con certo margine di successo, sono un apporto di Greenwood all’ispirazione della band.
Dal punto di vista filosofico, “A Moon Shaped Pool” è un disco complesso, che gioca alle matrioske della rappresentazione nella rappresentazione, come forse anticipava la foto, pubblicata in un tweet dello scorso due maggio dallo storico produttore della band, Nigel Godrich, che ritraeva una pagina di “The plot genie index” di Wycliffe A. Hill, il bizzarro manuale di scrittura americano del 1936, un elenco di spunti di intrecci da combinare a piacere per ottenere storie avvincenti da raccontare. E, in questo senso, forse l’indizio di Godrich ci suggeriva l’inganno robotico, omologato,mercatale, della maggior parte delle narrazioni del presente, intorno al quale hanno riflettuto i Radiohead con “A Moon Shaped Pool”; ma pure l’irrinunciabile continuità di senso tra quella che chiamiamo comunemente “realtà” e la sua simbolizzazione. Prima ancora che portare a spasso i nostri inconsci individuali, infatti, noi siamo tutti dentro un’unica, collettiva psiche, ci ricorda Carl Gustav Jung, ma pure il video di “Daydreaming” diretto da Paul Thomas Anderson. Il filmato ritrae, com’è noto, un Thom Yorke intensamente segnato dagli anni che attraversa i luoghi al chiuso dove si dipana il vivere contemporaneo: le scuole, le lavanderie a gettoni, gli ospedali, con le maniglie antipanico, i corridoi al neon e i letti sanitari, nascosti alla vista da paraventi, sui quali si nasce e si muore (Nigel Godrich ha scritto, in un altro tweet, di avere perso il padre durante la lavorazione dell’album); per poi finire all’aperto, tra i monti, dentro una grotta, illuminata da un fuoco arcaico, nella quale trasformare la parola cantata nell’ultimo rantolo, gutturale e incomprensibile, col quale si chiude la parte vocale della canzone.
“A Moon Shaped Pool” è un’opera d’arte che supera il rock e l’art rock, per approdare a quel post-pop del quale più d’uno ha già scritto; è un’opera d’arte perché non patteggia col diktat della leggerezza ad ogni costo (ed è solo di conforto, ad esempio, che una parte del mondo indie abbia trovato il disco pesante: l’Italo Calvino della Lezione Americana sul rapporto tra leggerezza e pesantezza ha, in questo senso, ancora molto da insegnare). Ed è un’opera d’arte soprattutto perché possiede due qualità che allo zoccolo duro dei fan della band continuano a piacere molto: è morale, quando non militante nella sua attitudine alla critica radicale, e catartica. E non sarebbe un’opera d’arte se fosse una cosa senza l’altra, perché il messaggio che pretende di essere efficacemente morale senza condurre a un’autentica, empatica catarsi, è in realtà moralistico; ma la catarsi che non sia morale è scorciatoia, scollamento, il solito individualistico, cinico disimpegno, insomma. I Radiohead accorciano la differenza tra il morale e il catartico con un inconfondibile esercizio poetico di “magnanimità emozionale”, come ha scritto Jamieson Cox per Verge; canzone per canzone, dalla “B” di “Burn the Witch” alla “T” di “True Love Waits”.
Così, se “Burn the Witch” ci mostra, con ossessiva e perentoria cupezza, cosa è l’uomo-macchina nell’era del terrore delle differenze, quelle dentro e fuori se stessi, e del mutuo controllo delle opinioni per mezzo dell’omologazione digitale, “Glass Eye” è una frammento analogico di suite da camera, come quelli, fisici e oramai non più suonabili, di nastri master accumulati dai tempi di “Kid A”, che la band ha deciso di aggiungere come souvenir alla special edition dell’album, nell’ordine di un pezzetto da tre quarti di secondo di audio per cofanetto. Ma, precisa la band dal sito ufficiale dell’album, a qualcuno potrebbe capitare il silenzio, a qualcun altro la linguetta colorata all’inizio del nastro. È, come per ogni cosa, tutto affidato al caso. Ma il pianoforte di “Glass Eye” esprime un’evanescenza squisitamente digitale, mentre Thom Yorke canta “Hey sono io/Sono appena sceso dal treno/Un posto terrorizzante…facce di cemento grigio”, un’ode alla vulnerabilità, in particolar modo a quella maschile, che però supera il rischio di ripiegamento e manifesta una travolgente sorta di empatia collettiva proprio grazie a quella magnanima scelta di bellezza che stabilisce che la voce di Yorke sparisca piano tra gli archi diafani, come calati dall’alto da un senso superiore. E ancora, “Tinker Tailor Soldier Sailor Rich Man Poor Man Beggar Man Thief” è un tipico ibrido greenwoodiano di soluzioni analogiche e digitali, all’insegna del dub reggae, della cui commistione naturale tra l’anima e il loop il chitarrista e polistrumentista dei Radiohead si è definitivo più volte appassionato. E se “The Numbers” sembra recare in se il tocco innovativo delle leggendarie produzioni dub di Lee “Scratch” Perry, ma pure la traccia cosmic jazz che germoglia con Coltrane, passa per Sun Ra e arriva fino ai nostri giorni col sassofonista Kamasi Washington, “Identikit” risuona di downtempo post-punk. È un percorso apicale, “A Moon Shaped Pool”, che trova il suo centro emozionale nella voce di Yorke, quanto mai asciugata dalle fioriture che caratterizzano il suo farsetto. È il caso di “Desert Island Disk”, nella quale la linea e il sentimento del canto e delle parole ricordano il candore disperato di Nick Drake, a farsi portavoce di tutte le nude fragilità da proteggere. Ma soprattutto “Present Tense” dove la voce di Yorke, che si procura in un credibile “scat falsetto”, vale a dire la tecnica vocale del jazz per l’imitazione degli strumenti, si sovrappone a una chitarra con echi di bossa nova classica, ma resi obliqui dalle soluzioni in minore, mentre Thom canta del presente sclerotico e senza respiro evocato nel titolo, e di una possibile, poetica resistenza ad esso “This dance/[…]It’s like a weapon/[…] Of self defense/[…]Against the present/Present tense.
Il CD e l’LP di “A Moon Shaped Pool” saranno disponibili dal 17 giugno 2016, pubblicati da XL Recordings. A settembre seguirà la special edition, con, tra le altre cose, due vinili da 12’’ e un booklet da 32 pagine di artwork esclusivo.