#COGLIONINO. Alla Biennale di Fotografia di Sgarbi
Dove c’è Sgarbi, c’è polemica. Chi ha costruito la sua intera carriera sul battibecco, non poteva deludere anche questa volta. L’occasione adesso si è presenta con il lancio di una Biennale di Fotografia, che si terrà a Torino dal 21 aprile al 21 giugno, la “prima” secondo Sgarbi in Italia, di cui lui è l’artifex maximus. Fin qui tutto chiaro e niente di eclatante, anche se si sostiene l’unicità del festival, quando sappiamo bene tutti quante e importanti iniziative di tal genere siano sparse per la Penisola; anche se Sgarbi continua a fregiarsi del titolo di Onorevole, nonostante la non lusinghiera carriera politica che poco c’entra con il mondo dell’arte in questione. Ma si sa, un onorevole è per sempre.
Soprassedendo su altre e alte considerazioni, perchè è già stato detto tanto e bene da Fabio Severo di Linkiesta, è necessario soffermarsi sulle regole di partecipazioni al concorso. Sfogliando il sito della biennale (www.biennalefotografia.it) infatti si scopre che chiunque può partecipare. Basta essere italiani o residenti in Italia, rispettare le modalità d’invio del materiale (un minimo di quattro foto, un massimo di sei), e soprattutto pagare un contributo di 350 euro. Una commissione tecnica poi, formata dallo stesso Sgarbi, quale curatore della manifestazione, dal direttore artistico Giorgio Gregorio Grasso, da Beppe Bolchi e da un rappresentante di Joy sas, quale organizzatore ed esperto in fotografia e Fine Art, sceglierà due opere per ogni artista. Ma perchè pagare tanto?
Nell’articolo 4 del regolamento si legge: “Il contributo economico richiesto all’artista permette a questo evento di rimanere autonomo evitando condizionamenti e garantendo la massima libertà d’espressione del singolo artista. Tale contributo permette infatti l’esclusivo pagamento delle spese vive e non servirà a mantenere altro che la valorizzazione e la diffusione delle opere d’arte degli artisti medesimi dando la possibilità ad una partecipazione senza filtri e senza scopo di lucro.”
Versare una cifra così elevata per la partecipazione, renderà indipendenti loro probabilmente, ma non gli artisti, che sarebbero costretti ad indebitarsi per un po’ di gloria, se tutte le manifestazioni fossero così. Imprigionati nelle loro (im)possibilità economiche. Alla faccia della libertà. Perchè se è pur vero che l’Italia, o forse il sistema mondiale dell’arte, risente di uno strapotere delle gallerie, la soluzione proposta dall’“onorevole” non è accettabile. Una partecipazione senza filtri, toglie valore agli stessi fotografi. È come mettere sullo stesso piano la Guernica di Picasso con i miei disegni (e io non so disegnare), in virtù di una democraticità che sa più di acriticità.
In cambio Sgarbi e i suoi promettono agli artisti ben “100 cm di larghezza per 200 cm di altezza” di spazio su cui esporre e tanta tanta visibilità. Guadando l’articolo 6 del regolamento, si troverà questo:
“La prima Biennale della Fotografia italiana offre ai suoi partecipanti quanto di seguito descritto:
- esposizione delle due opere selezionate ad insindacabile giudizio della commissione tecnica per l’intera durata della manifestazione
- pubblicazione delle due opere selezionate ad insindacabile giudizio della commissione tecnica sul sito istituzionale complete di descrizione dell’opera e biografia dell’autore
- visibilità tramite la pubblicazione del catalogo della mostra a cura dell’Istituto Nazionale di Cultura (art. 8)
- visibilità tramite la riproduzione delle opere in formato digitale a scopo informativo e divulgativo della manifestazione e degli artisti stessi
- visibilità sui vari media coinvolti (art. 9)
- visibilità attraverso i premi proposti (art. 7)
- visibilità attraverso i riconoscimenti istituiti dalla direzione e/o i partner della manifestazione (art. 10)”
Leggerlo mi ha ricordato una serie di video girati ultimamente dal collettivo Zero, riconoscibili dall’hashtag #coglioneno (www.youtube.com/watch?v=sd5mHHg1ons). Nei filmati si ironizza e discute sul trattamento dei giovani creativi, a cui prima viene offerto un lavoro eppoi comunicato che non si ha il budget sufficiente per pagarlo, ma in cambio gli si promette pubblicità. Lo slogan fa più o meno così: “Al tuo idraulico diresti che lo paghi con la visibilità?”. Il problema ovviamente non è solo dei creativi, chiunque della mia generazione ha vissuto, almeno una volta nella sua vita se è fortunato, la frustrazione di un lavoro prima sfruttato e poi non riconosciuto. O meglio, preteso di essere ricompensato con fama e aria. Finora però il trattamento, almeno nel mondo dell’arte fotografica, non era stato così platealmente istituzionalizzato. Almeno prima che arrivasse Sgarbi.
Foto e testo di Giuliana Calomino