IL SOGNO DI NATALE. Marco Perillo e il suo viaggio nel presepe universale
Un volumetto dal profumo e dal sapore natalizio. “Il sogno di Natale” (Alessandro Polidoro editore) è il nuovo libro del giornalista e scrittore Marco Perillo. Un piccolo scrigno dove tra le pagine è possibile ritrovare personaggi, storie e racconti di una Napoli privata e pubblica. Di una città presepe che ogni anno si rinnova nella nascita del Cristo.
“La stanza puzzava di notte. Tossiva costellazioni alla finestra. Il buio rimbalza tra le pareti, condensandosi sui mobili. Si formerà un capannello di sogni, attorni a me. Questo tempo non ha tempo. E ogni verbo, ogni riferimento collocabile tra il ieri, l’oggi e il futuro, non sembra avere senso. Almeno in quest’attimo. Almeno in questa notte. Almeno adesso. Che è Natale”. (Il sogno di Natale di Marco Perillo)
Come nasce questo libro?
Nasce da un’esigenza personale. Nasce dall’urgenza di esorcizzare un dolore, quello della perdita dell’infanzia. Capita a tutti. A me accadde in modo traumatico, con la perdita di mio nonno. E quale momento migliore del Natale per rifletterci su? Un tempo di sospensione, in cui presente, passato e futuro coincidono e le ore sembrano fermarsi. Un tempo di riflessione in cui, attraverso odori e sapori, ritornano i ricordi, come per le madeleine di Proust. Basta poco per rievocare un mondo che non c’è più. A me è bastato un sogno, fatto per davvero, nel quale riportavo in vita vecchi Natali di bambino in cui la felicità sembrava eterna. Ma non era così e ho dovuto, come tutti, farvi i conti una volta cresciuto.
Napoli e il nonno i due protagonisti di questo volumetto. Ce li racconta?
Sono interconnessi. Mio nonno era una persona d’altri tempi: capostipite di una nobile famiglia, barone, attento alle tradizioni e alla cultura. In casa sua c’erano libri antichi, si ascoltava musica classica, si parlava di dignità, diritti e doveri. Ed era presente il presepe. Anzi, i presepi. Uno all’ingresso di casa, originale del ‘700 ed ereditato dai nostri avi. Un altro in camera da letto del nonno, in cui erano presenti alcune figure atipiche come Pulcinella e il pope greco-ortodosso. L’ultimo – quello per me più importante, che ha dato vita al libro – in sala da pranzo, a forma di casa a due piani, in cui la quotidianità incontrava la Natività. Erano presepi presenti 365 giorni all’anno. E considerando che non c’era periodo natalizio in cui mio nonno non mi portava a San Gregorio Armeno a scegliere un pastore nuovo per le nostre collezioni, con le quali non smettevo mai di giocare e, ovviamente, di sognare, ecco come Natale e mio nonno, nel mio inconscio, sono diventati tutt’uno. E in questo mio poetico racconto parto alla loro ricerca, mi metto in viaggio per ritrovarli e riscoprirne bellezza e senso.
“Sogno di Natale” ricorda un po’ nel titolo “Canto di Natale”. Qual è lo spirito del Natale partenopeo?
C’è un’antica credenza celtica – sembra così lontana da noi ma non lo è – secondo la quale tra il 31 ottobre e l’Epifania gli spiriti dei defunti tornano sulla terra per stare in contatto con i propri cari. Se pensiamo che in fondo anche le figure di Babbo Natale e delle Befana non sono altro che una sorta di nonni, di avi, venuti a elargire doni e un po’ di gioia, allora capiamo che è così. Nel racconto scrivo che “Natale è confluenza di fantasmi”. Ne sono convinto. E a quanto pare ne era convinto anche Dickens. Ad ogni modo, questo è un concetto presente anche nello stesso presepe, quello popolare, inteso nei suoi significati esoterici, narrati splendidamente dal maestro Roberto De Simone. Lì i morti sono presenti: dove ci sono pozzi, fontane, attraverso la figura delle pecore. E sono presenti i vivi, che sono i napoletani rappresentati in toto. Non è un caso che a San Gregorio Armeno in epoca grecoromana vi fosse il tempio di Cerere, per la quale erano forgiate statuette votive in terracotta. In fondo, una tradizione perpetuata coi pastori fino ad oggi. E non è nemmeno un caso che i sacri penati, gli antenati protettori dei Romani, fossero proprio delle statuine. Ecco perché nel mio “Sogno” il presepe prende magicamente vita e mio nonno lo ritrovo proprio tra i pastori. Questo, secondo me, è lo spirito del Natale partenopeo: tra sacro e profano, ritroviamo le nostre radici. Quelle della città e quelle personali.
Il romanzo «Phlegraios – L’ultimo segreto di San Paolo» è stato molto apprezzato tanto da vincere il Premio Megaris e il Premio Cypraea-Angelo della vita. Quali sono i suoi progetti dopo “Il sogno di Natale”?
“Phlegraios”, romanzo d’avventura che ha per sfondo i nostri Campi Flegrei, è stato il mio esordio narrativo dopo 10 anni di scrittura e riscrittura. Anche lì c’è il dramma di un giovane, un archeologo, che ha perso i genitori a causa di un incidente stradale. E che, per questo, ha perso la fede nella vita. Scoprirà un frammento di una lettera di San Paolo durante uno scavo vicino a Miseno, che gli sconvolgerà totalmente l’esistenza e lo porterà a vedere le cose da un altro punto di vista, riscoprendo anche in quel caso i valori spirituali e, insieme, quelli storici di una terra di mito e vulcani. Mi piacciono le storie di formazione, credo possano parlare a tutti e sono intriganti come un viaggio. Ho tanti racconti nel cassetto pronti a confrontarsi con i lettori. Mi piacerebbe scandagliare meglio l’argomento Napoli, città-mondo fucina di esempi vari di umanità. In fondo gli scrittori napoletani sono fortunati: l’ispirazione non manca mai.
Il sogno di Natale
Marco Perillo
Alessandro Polidoro Editore
pp 47
euro 5,00