NEFÀS – LA FORMA DEL VENTO. Un viaggio dentro di sé, un romanzo di Stefania Di Iorio
Marta arriva da Milano, destinazione Napoli, mentre Nefàs arriva dall’Eritrea, destinazione Italia. Due storie di vita si intrecciano nel romanzo “Nefàs” di Stefania Di Iorio (Homo Scrivens). Le difficoltà, le scelte, ma anche il dolore nella vita vanno affrontati con positività, sempre. Un viaggio alla scoperta dell’altro ma anche e soprattutto di sé stessi.
Come nasce questo romanzo?
“Nefàs nasce da alcune considerazioni su fatti di cronaca. La notizia, diffusa da un telegiornale, della morte di un singolo uomo, la cui vita è raccontata ai telespettatori in ogni dettaglio, colpisce l’opinione pubblica molto più di una strage in mare di centinaia di esseri umani. Chi ascolta i notiziari non riesce a immedesimarsi con la massa, ma col singolo, e allora ho scritto di un solo uomo, africano, e delle sue sensazioni, delle emozioni, mentre è sul barcone cosiddetto della speranza, che lo porterà dalla Libia all’Italia, in una stiva, assieme a centinaia di connazionali. Ho immaginato che ricordasse la sua vita, la famiglia, l’amore, e che il lettore lo vedesse con una personalità, dei sogni, delle passioni. Nefàs è un africano colto e sensibile, in cui molti possono riconoscersi e che, con i racconti sul proprio passato, spiega a chi legge gli eventi che hanno condizionato le sue scelte di vita e che gli hanno regalato quel carattere e quella personalità. In lui ci sono tutte le mie emozioni, perché l’amore, il dolore, la speranza, la morte, sono uguali in ognuno di noi, indipendentemente dal sesso, dalla nazionalità e dagli eventi che hanno provocato quei sentimenti”.
Ci parla dei protagonisti, Marta e Amir detto Nefàs?
“Marta è una donna napoletana che, anche se a fatica, ha raggiunto il proprio obiettivo: trasferirsi a Milano e diventare una stilista affermata. Eppure non è felice e, mentre tutto attorno a se giustificherebbe un atteggiamento appagato e una vita tranquilla, Marta riesce a trovare dentro di se le cause della propria infelicità, in un atteggiamento distruttivo che la porterà a compiere scelte sbagliate. Il romanzo si apre con la donna che, di notte, fruga nell’immondizia in un quartiere di Napoli; è l’inizio, lo spunto per raccontare perché è arrivata fin lì, e Marta lo fa coinvolgendo Nando e Filomena, una coppia che abita al Petraio, proprio come lei, a cui racconta la propria storia. Amir, soprannominato Nefàs, ha abbandonato il proprio paese ed è giunto in Italia, da solo e senza nessun avere. Ha tutte le ragioni per essere triste, per cadere in depressione, la lontananza dalla terra natìa e dalla famiglia, la guerra, le vicende personali, e invece ha un atteggiamento positivo, che l’aiuterà a superare i momenti difficili, aiutando anche Marta”.
Il romanzo è un racconto nel racconto. Chi scappa dalla propria terra e arriva, tra mille traversie, in Europa è uno dei temi del libro.
“Il tema principale del mio romanzo è il viaggio: nei luoghi, nel tempo, dentro di sè. Nei luoghi: Marta viaggia da Milano a Napoli, dove poi ritorna, e dove vive tra le scale del Petraio e Rua Catalana, due posti per me carichi di suggestioni. Amir viaggia dal villaggio natìo, Kerèn, alla capitale, Asmara, poi ritorna a Kerèn, raggiunge la Libia e, da lì, l’Italia. È stato molto bello studiare l’Eritrea, la storia, i luoghi, la guerra, osservare le foto, immaginarne i profumi e poi raccontare, come se i ricordi dell’uomo fossero i miei. Nel tempo: entrambi i protagonisti ricordano i momenti più significativi delle loro vite, ribalzando dal presente al passato, due storie parallele, avvenimenti simili per due personalità molto differenti. Dentro di se: è un percorso di speranza e di consapevolezza”.
Cosa rappresenta la maratona, una metafora che indica la vita?
“Nefàs è un uomo che pensa in positivo, ma non è un eroe, è solo un uomo che non si arrende. Resiste, nella vita e nella corsa, che in tutto il romanzo ha il valore simbolico della determinazione, della speranza, del riscatto: attraverso la sofferenza si raggiungono i propri obiettivi. Nefàs corre, fin da bambino, scalzo, sulla terra rossa dell’altopiano natìo, corre senza voltarsi indietro, perché sa che, nella vita e nella corsa, bisogna solo superare gli ostacoli e non rallentare mai: «Correvo, all’alba, quando era ancora buio, per allenare i piedi nudi al dolore e la mia anima alla resistenza… mi hanno insegnato che la corsa non è mai semplice, come la vita, perché in entrambe non c’è un solo metro di pianura, né un chilometro di semplicità, ma solo curve e zigzag».
Enrica Buongiorno