PULIZER. Tarocca la foto e l’agenzia Ap lo licenzia in tronco
Dura lex sed lex. Doveva tenerlo a mente il fotoreporter messicano Narciso Contreras, già vincitore del Premio Pulitzer nel 2013 nella categoria breaking news, quando ha manipolato la sua foto scattata durante la guerra civile in Siria. Se l’è ricordato però la sua ex Agenzia, l’Associated Press, che, una volta scoperto l’inghippo, l’ha licenziato in tronco.
Nell’immagine originale era infatti visibile una telecamera nell’angolo sinistro, cancellata poi e sostituita da alcune pietre dello sfondo. Una modifica che a molti potrà sembrare irrilevante e che nulla toglie alla genuinità del suo messaggio. Eppure la reazione di Ap, avvisata tardivamente tra l’altro della correzione dallo stesso Contreras, è stata impietosa: “Nessun altro caso di alterazione è stato scoperto – ha dichiarato Santiago Lyon vicepresidente dell’agenzia di stampa e direttore della fotografia . Tuttavia ha violato il codice etico di Ap”.
L’agenzia non perdona e non si accontenta solo della liquidazione del fotografo. Informa la commissione del premio Pulitzer e attuerà la rimozione dal suo archivio storico di tutte le immagini da lui prodotte. Una tabula rasa: “La reputazione di Ap è fondamentale e abbiamo reagito in modo decisivo e forte perché con quest’azione è stato infranto il nostro regolamento. Le foto di Ap devono sempre dire la verità, non alteriamo o manipoliamo il contenuto di una foto, in nessun modo. Nessun elemento deve essere aggiunto o rimosso. È inaccettabile”.
Consapevole della contraffazione, Contreras ha affermato laconico: “Ho preso la decisione sbagliata, ma se si esaminano i miei archivi si scoprirà che è la prima e unica volta che modifico un’immagine. Probabilmente l’ho fatto perché ero stressato. Ho sbagliato e devo accettarne le conseguenze”.
Il caso Contreras non è il primo della lista. Sono tanti i precedenti. Come quello di Brian Walski con il Los Angeles Times e di Bryan Patrick e la National Professional Photographic Association. Entrambi combinarono due immagini in una e furono licenziati in tronco per la manipolazione. Se però qui è evidente la mano dei reporter, che hanno ovviamente creato una realtà fittizia, ci sono altri casi in cui l’intervento non è poi così esplicito. Harry Fisch per esempio fu squalificato dal concorso fotografico indetto dal National Geographic per aver eliminato un sacchetto visibile nell’inquadratura dello scatto. O ancora quando Stepan Rudik vinse il 3° premio nella sezione Sport del WPP competition, fu subito estromesso per aver rimosso digitalmente un piede dalla foto.
Perfino l’edizione di quest’anno del World Press Photo rifiuta decisamente l’eccessivo fotoritocco, dopo tutte le polemiche e il clamore suscitati dal vincitore dell’edizione 2013, Paul Hansen, accusato di esserci andato pesante, troppo, con Photoshop: “Per assicurarsi che il livello d’invadenza della post produzione non sia eccessivo e per ridurre al minimo le ambiguità che possono nascere dal regolamento – ha precisato la direzione del WPP- la giuria ha nominato un team di esperti che valuterà gli scatti. Ci aspettiamo che i fotoreporter professionali rispettino gli standard etici del giornalismo e non manomettano il contenuto delle loro immagini con l’aggiunta o la rimozione di elementi”.
Il punto è capire fino a che punto sia lecito spingersi con la post-produzione delle fotografie e con l’elaborazione delle immagini. Perché se è pur vero che queste regole possono suonare come rigide, eccessive e generaliste, è anche vero che garantiscono la verità dell’informazione.
Giuliana Calomino