SIA LIVE @ COACHELLA 2016: POP IS THE NEW EXPRESSIONISM? La cantante australiana sconvolge il pubblico della celebre kermesse con una performance che ridisegna i canoni del festival concert

Che cosa significa, in tempi  mediali come i nostri, non metterci la faccia? La perifrasi fa pensare subito, sociologicamente parlando, al web punto zero, all’infingimento rivelatore, tanto per pasticciare con gli ossimori, consentito dai social network, alla ghigliottina del real time, all’omologazione sclerotica delle espressioni, alla comunicazione polverizzata. Ma che cosa succede, in tempi mediali come i nostri, se si decide di negare, e sistematicamente, il proprio volto alla scena e allo sguardo degli spettatori in carne ed ossa? Si scompare, risponderanno forse molti, e all’istante per di più. Non va certo così per Sia, al secolo Sia Kate Isobelle Furler, la controversa performer e autrice australiana che si è esibita, la scorsa domenica 17 aprile, al Coachella Valley Music and Arts Festival, la kermesse live che ha luogo per due week end consecutivi (15-17 e 22-24 aprile 2016) e che dal 1999 infiamma l’omonima valle di Indio, California, con una line up stellare. “Ha ridefinito cosa la musica live è e dovrebbe essere. 60.000 persone ipnotizzate. Bravissima Sia”, si legge tra i commenti degli utenti del social news networking service Reddit. Ma la Rete non è la sola ad avere descritto la performance di Sia come rivoluzionaria: “Il live di Sia ha abilmente capovolto lo schema” scrive il Los Angeles Times, mentre Billboard titola “la performance di Sia affascina e confonde nell’ambito di un Coachella set imperniato sui nomi delle star”. E dunque, cosa ha fatto esattamente l’artista durante il suo concerto co-diretto da Daniel Askill, 13 brani cantati senza interruzione per poco più di un’ora di show?

SIA | ph credit Philip Cosores

SIA | ph credit Philip Cosores

In effetti, definire quello di Sia un concerto è riduttivo: si è trattato di un vero e proprio pezzo di performance art, che mutuava le sue forme più dal teatro-danza che dal canone di un set live concepito per un festival e per un pubblico tanto numeroso. Sia appare in scena come una installazione vivente, posizionata in cima ad un cubo bianco con indosso una enorme gonna in tulle, bianco anch’esso, che si scioglie, sulle note di “Alive”, nei corpi dei danzatori che animano la prima coreografia. La cantante resta pressoché immobile sul suo trespolo, un passo dietro il microfono, il corpo coperto da un camicione che ricorda un grembiule da collegio, i piedi nudi. E soprattutto l’immancabile parrucca-nascondiglio, l’iconico carré per metà platino e per metà corvino che Sia ha già esibito in tutte le apparizioni dal vivo dall’uscita di “1000 forms of fear” (RCA, 2014), con la frangia calata fin sopra la punta del naso, a mostrare soltanto le labbra truccate di color lampone, come una ferita su ciò che resta del volto. A sormontare la parrucca-scafandro  un enorme fiocco bianco, davvero troppo grande per non essere risibile, per non costituire la scelta drammaturgica di raccontare il ridicolo e il rimpianto per tutte le infanzie che si trascinano oltre il consentito, tutte le narcisistiche presunzioni di purezza che ne derivano, tutte le cadute, e le cognizioni del dolore: “sono nata in una tempesta di fulmini, cresciuta nel cuore della notte” canta Sia nei primi versi di “Alive”, impersonale, straniante, mentre la ballerina-prodigio Maddie Ziegler (ma più probabilmente si trattava di Stephanie Mincone, mentre la Zielger si esibiva sullo schermo) danza ancora gli scollamenti e gli spasmi che stanno nelle parole delle canzoni, con indosso la stessa parrucca dell’artista e il body color carne che, assieme alla coreografia incredibile, espressionista, dolorosa, turbò sottilmente il pubblico ai tempi dell’esordio del clip di “Chandelier”.

Sia, classe 1975, una carriera ultra-ventennale da perfomer e autrice per, tra le altre, Christina Aguilera, Cher, BeyoncéFlo Rida and Rihanna, una biografia lacerata dal lutto per la tragica fine del compagno Dan Pontifex, l’abuso di droghe, alcool e farmaci, la depressione e l’idea del suicidio, sulla scena del Coachella è tutta il graffio e il blues della sua voce. Ciascuna delle 13 canzoni che l’artista ha eseguito la scorsa domenica, incluse  “Diamonds”, scritta per Rihanna, “Cheap Thrills”, “Bird Set Free”, “Elastic Heart” e naturalmente “Chandelier”, ha rappresentato una piece a sé stante, con le coreografie di Ryan Heffington e uno straordinario lavoro coi visuals, le proiezioni video prodotte  ancora una volta da Kristen Wiig: e resta il dubbio se le celebrità ospiti delle performance, assieme alla Wiig gli attori Paul Dano e Gaby Hoffman e il comico Tig Notaro, presenti in video, fossero in realtà oggetto di una ripresa dal vivo o di una pre-registrazione perfetta e perfettamente in sincrono con le complesse azioni in scena, in un sempiterno gioco di teatro nel teatro, articolando, nell’ambito di un’autentica perfomance totale, l’avanguardia della riflessione spettacolare intorno allo scarto tra la maschera e il volto. Sul palco di un mega-festival rock, nel bel mezzo del deserto californiano.
Chapeau, Sia.

Di seguito l’intera performance, via Consequence of Sound:
http://consequenceofsound.net/2016/04/coachella-is-losing-its-shit-over-sias-performance

Rosa Criscitiello
Uno spettacolo si può preparare in un mese. Improvvisare, invece, richiede una vita. (Pino Caruso, Ho dei pensieri che non condivido, 2009).

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