UN ORSO UCCISO AI QUARTIERI SPAGNOLI. Ecco la Napoli di Antonio Menna
Napoli, vico Speranzella. Quartieri Spagnoli. Un orso campeggia nel mezzo della strada ucciso, pare, da alcuni colpi di pistola. Un’immagine agghiacciante o piuttosto divertente? Antonio Menna, giornalista ma soprattutto scrittore napoletano, autore tra gli altri del libro cult, “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli” firma il suo ultimo romanzo per Guanda dal titolo, “Il mistero dell’orso marsicano ucciso come un boss ai Quartieri Spagnoli”.
Come nasce il suo ultimo romanzo?
E’ una storia investigativa ambientata nei Quartieri Spagnoli di Napoli, un luogo che offre molto spunti narrativi e che, per il protagonista del romanzo, è il punto di partenza per un’avventura che allarga il suo sguardo oltre la Napoli che siamo abituati a vedere. La storia, infatti, viaggia nella città di sopra, quella dei vicoli, del sole, dell’umanità, a volte aggressiva, a volte accogliente; e viaggia nella città di sotto, quella dei cunicoli, dei labirinti, delle cavità, quella delle ombre, il controvolto della Napoli classica. I due livelli sono un po’ il sottotema di tutta la narrazione, che si legge anch’essa in due modi. C’è la storia, che intrattiene, forse diverte, forse appassiona. E c’è un mondo di simboli, dove si possono trovare significati e chiavi di lettura. Almeno questo nelle mie intenzioni. Se ci sono riuscito o no, lo lasciamo decidere ai lettori.
A Napoli può accadere di tutto, anche che un orso venga ucciso nel mezzo dei Quartieri spagnoli. Qual è il suo rapporto con la città?
E’ un rapporto teso, nervoso. E’ una città che toglie tanto, soprattutto in termini di vita normale, di cose comuni, di utilità. Ma poi ti fa regali all’improvviso. Basta poco. Questo fa ancora più rabbia. Una mamma distratta che non riesci ad odiare ma nemmeno ad amare fino in fondo.
Il protagonista Tony Perduto è un giornalista free lance che per riuscire a sbarcare il lunario svolge tanti piccoli lavori. Oggi il giornalismo si è trasformato e anche il mestiere di giornalista è molto cambiato. Cosa ne pensa?
E’ cambiato il lavoro in generale. Fino a quindici/venti anni fa c’era la gavetta, cioè un periodo di tempo in cui, da giovane, facevi sacrifici, lavoravi molto, ti pagavano poco o nulla, spesso a nero. Ma poi arrivava l’opportunità, ed era stabile, consolidata, vera. La tua vita si strutturava. In termini di reddito ma anche di identità, di profilo. Diventavi una cosa, e quella cosa lo eri per davvero. Eri legittimato ad esserlo. Anche nel giornalismo era così: cominciavi da ragazzo, diventavi pubblicista, facevi la trafila, poi arrivava l’occasione. Diventavi professionista ed eri in una redazione. Se l’occasione non arrivava, ti cercavi un altro lavoro e facevi altro, magari restando pubblicista e collaborando. Ma il tuo lavoro era un altro. Le distinzioni erano chiare. Oggi il lavoro è una nebulosa un po’ per tutti. Sei una cosa, poi ne sei un’altra. Ne sei quattro insieme. Fai due, tre, anche quattro lavoretti per formare uno stipendio. Il risultato è che se ti chiedono che lavoro fai, non sai cosa rispondere. Chi è iscritto ad un Ordine professionale, dice il giornalista, l’avvocato. Ma se non avessero un compagno o una compagna che lavora e vive con loro, o i genitori con cui ancora vivono, o una rendita familiare, molti non arriverebbero a fine mese. Ma che lavoro è un’attività che non ti dà da vivere? Semplice, non è un lavoro. E’ un hobby. Tony Perduto è tutto questo. Due, tre cose insieme che non ne fanno una. Quindi è tutto e niente. Sente tutto il disagio, anche esistenziale, per questa condizione.
Da blogger navigato, quali le potenzialità del web ancora inesplorate?
Per me del web si parla spesso a sproposito. Sembra la miniera d’oro, invece somiglia sempre più ad una discarica. E’ indubbio che si tratti di un mezzo espressivo utile e ampio, dirompente. Vi si accede con pochi mezzi e si ha a disposizione una platea vastissima. In teoria chiunque con il web ha una opportunità espressiva. Ma sicuro che tutti abbiano qualcosa di interessante, o di utile, da dire? Io, più vedo il moltiplicarsi delle voci, più mi accorgo che tantissimi non hanno nulla da dire ma continuano a farlo. Penso che la nuova frontiera della comunicazione sia la cernita. Separare la lana dalla seta. Quello che ha un senso e quello che non ce l’ha. Credo che la parola chiave del futuro sia credibilità. Vale anche per il giornalismo sul web. Una volta bastava dire “è sul giornale” perché un fatto fosse creduto come vero perché le redazioni, bene o male, filtravano, davano senso, organizzavano. Oggi non basta dire “è sul web”, perché sul web non ci sono abbastanza filtri. Bisogna dire dove, chi lo ha scritto, che credibilità ha. La credibilità, poi, ai tempi veloci delle nuove tecnologie è una carta velina. Ci vuole un attimo a macchiarla per sempre.
La sua biografia è ricca di sorprese. Giornalista, addetto stampa, scrittore, consigliere comunale e persino assessore. La domanda è facile: chi è Antonio Menna?
Un Tony Perduto come tanti.
Enrica Buongiorno