UN RICORDO PERSONALE DI PACO DE LUCIA. L’uomo del live in Campania Alessandro Pacella ricorda il suo incontro col genio flamenco appena scomparso
Un ricordo personale di Paco De Lucia, il genio della chitarra flamenco scomparso ieri: a regalarlo a LOVEpress è Alessandro Pacella, napoletano, direttore di produzione (è l’uomo che coordina professionisti e procedure affinché si possano realizzare i concerti) per la più importante agenzia live promoter in Campania. Tredici anni di allestimento tra teatro, road management e la produzione locale, l’esperienza più cospicua con ben 11 anni di servizio, e un numero di concerti realizzati che si aggira intorno ai cinquecento show, Alessandro, una laurea in Scienze Politiche in tasca e una appassionata storia col flamenco danzato, che include anche il perfezionamento a Madrid, negli anni Novanta, presso la Escuela Madre De Dios, ha avuto la possibilità di seguire molto da vicino Paco De Lucia, da ospite del danzatore della compagnia di De Lucia Joaquim Grilo e da grande fan del Maestro andaluso, in occasione del concerto napoletano del tour “De Lucia Septet” al Teatro Palapartenope di via Barbagallo nel novembre del 1997. Ecco il racconto, dalla sua voce.
«L’attacco di “Mediterranean Dance” fu per noi la porta d’ingresso al mondo di Paco De Lucia. Il primo arpeggio dal primo brano del disco live “A Friday Night in San Francisco”: fu quello per noi napoletani degli anni ‘80 la presentazione, la stretta di mano tra il Maestro De Lucia e noi partenopei. Non era e non è un disco di flamenco, la presenza di John McLaughlin e Al di Meola e le atmosfere da virtuosismi chitarristici lontani, gli eco jazzistici lo allontanano di fatto dal puro stile “hondo”. Come tutte le musiche popolari e sanguigne il flamenco si tramanda oralmente, è parte integrante e quotidiani di una cultura non “colta”. I suoi diversi “pali” (il termine che designa le differenti strutture musicali che il genere comprende) del flamenco puro, le divisioni ritmiche degli stili che compongono l’ars magna di questo stile, fanno parte del DNA delle famiglie iberiche nè più nè meno che per noi i versi di “Reginella” ed “Era de Maggio”. Solèa, Bulerìas, Farruca, Granainas, Rumba, Tango…. rami diversi dello stesso ceppo e ad ognuno si accompagna una maniera differente di ballarli, di cantarli. Non è qualcosa che può star chiusa in un museo e tantomeno sopporta le recinzioni di un’ortodossia che la vuole sempre uguale a sè stesso, in difesa di una purezza che mal le si addice. È patrimonio popolare, del popolo, non di oligarchie sedicenti colte. A Paco De Lucia si deve riconoscere di aver portato il flamenco sui palchi di tutto il mondo, di aver fatto uscire questo stile dai “tablaos”, le tradizionali taverne dove il flamenco si suona e si balla, per farlo arrivare allo stato di Star. A lui ed al compianto Camaròn de la Isla il merito di essere stati i paladini mondiali di una musica popolarissima, concreta, diffusa negli strati sociali più bassi di una Spagna prima oppressa dal franchismo e poi finalmente aperta al mondo. L’artista di Algeciras sapeva bene che un linguaggio è vivo solo se si confronta con il mondo e, nonostante i reazionari, non ha mai auto paura di mescolarlo al jazz, alla salsa, alla bossa nova, alla musica araba. Chi ha davvero carattere non ha mai paura di vederlo scomparire nel confronto con l’altro. Non ho la capacità tecnica per giudicarlo come chitarrista ma ho avuto la fortuna di incontrarlo in suo concerto napoletano e di poter passare un paio di giorni in sua compagnia. Come tutti i grandi era una persona gioviale ed umile, di ottima compagnia. Mi lasciò addirittura scattare qualche foto durante il soundcheck (una la pubblichiamo di corredo a questo contributo, n.d.r.), momento di solito riservatissimo. In quella occasione lo accompagnavano i suoi fedelissimi Jorge Pardo, Rubem Dantas, Antonio Mairena… non si tirò indietro neanche quando lo invitammo a giocare a calcetto la mattina dopo lo show. Perchè la vita è sempre un gioco, se pensi di essere arrivato troppo in alto smetti di giocare e non sei più bambino. E non ti diverti. Ciao, Maestro! hasta luego!»
Rosa Criscitiello